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Divorzio Internazionale

Divorzio Internazionale. Nuove norme sul divorzio internazionale in Europa

Saranno applicate, a partire dal 21 Giugno 2012, le nuove norme europee in materia di divorzio e separazione personale dettate dal Regolamento UE 1259/2010. Tali norme offrono finalmente un quadro giuridico chiaro e completo su quale sia la legge nazionale da applicare al divorzio e alla separazione personale quando i coniugi siano di nazionalità diversa. La novità principale consiste nella possibilità per i coniugi di scegliere, tramite accordo, la legislazione nazionale applicabile al loro divorzio, purché questa sia legata alla nazionalità di uno dei due coniugi o alla residenza effettiva della coppia, impedendo in tal modo il crearsi di quelle situazioni in cui un coniuge chieda il divorzio prima dell’altro per assicurarsi che il procedimento sia regolato dalla legge che ritiene a lui più favorevole (il cd. turismo giudiziario). In assenza di accordo, troverà applicazione la legge dello Stato di residenza abituale dei coniugi nel momento in cui si decide di agire in giudizio. Tali norme si applicano soltanto in caso di divorzio o di separazione personale, non trovando invece applicazione nelle questioni relative al riconoscimento, alla validità o all’annullamento di un matrimonio, per le quali restano in vigore le disposizioni del Regolamento CE 2201/2003.
Il citato Regolamento, infine, sarà applicato soltanto in 14 Stati membri dell’Unione Europea, in quanto trattasi di un accordo di cooperazione rafforzata. I Paesi partecipanti a tale accordo sono: Italia, Francia, Spagna, Germania, Austria, Lussemburgo, Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovenia, Belgio, Lettonia, Malta e Portogallo, mentre Finlandia e Cipro sono prossime a parteciparvi.

Competenza e riconoscimento delle decisioni in materia matrimoniale e responsabilità genitoriale, Regolamento CE n. 2201/2003.

I primi passi devono necessariamente essere mossi avendo come basilare riferimento normativo il regolamento (CE) n. 2201 del 27 novembre 2003 (c.d. regolamento “Bruxelles II bis”), che disciplina la competenza, il riconoscimento, l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale ed in materia di responsabilità genitoriale.

Punto di partenza della presente disamina non può non essere l’art. 3, par. 1, lett. a) del citato Regolamento Comunitario, il quale va ad elencare tutta una serie di criteri, tra loro alternativi, di competenza giurisdizionale tra i quali vi sono:

  • lo stato di residenza abituale dei coniugi, o
  • In caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei due coniugi o
  • la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda.

Dalla lettura dei criteri suddetti, risultano palesi le opportunità che si possono prospettare alle coppie italiane riguardo la possibilità di addivenire rapidamente ad un divorzio sfruttando, come già detto, il fenomeno del forum shopping, ossia una normativa nazionale più vantaggiosa per il perseguimento dei propri interessi.

Nel caso de quo, il vantaggio consisterebbe nella possibilità di stabilire una residenza in un paese la cui legislazione permetta in modo facile, veloce ed economico l’ottenimento di un provvedimento definitivo di divorzio, per poi provvedere all’aggiornamento delle iscrizioni dei registri dello stato civile, in virtù dell’automatico riconoscimento del provvedimento stesso, garantito dall’art. 21, par. 2, del regolamento “Bruxelles II bis”. Questo spiraglio, sfruttato da molti operatori del settore, permette di giungere alla sentenza di divorzio, semplicemente prendendo la residenza in uno stato ben individuato – molto spesso la Romania per questioni di rapidità ed economicità – grazie alla semplice stipulazione di un contratto di locazione per poi, dopo poco tempo, introdurre la domanda giudiziale. Il giudice investito della controversia non dovrà fare altro che applicare direttamente il diritto interno per giungere al provvedimento richiesto dalle parti.

Legge applicabile a divorzi e separazioni. Regolamento CE n. 1259/10

Oggi ciò è reso ancora più facile dall’entrata in vigore del regolamento n. 1259/2010, relativo alla cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile a divorzi e separazioni (c.d. regolamento “Roma III”) applicabile dal 21 giugno 2012 in tutti i paesi aderenti, il quale sancisce l’applicazione del diritto del foro interno o per scelta oppure per l’operare del criterio di residenza abituale dei coniugi.

Grazie a tale ultimo Regolamento (1259/10) è divenuto, infatti, possibile per i cittadini europei vedere applicata alla propria separazione e al divorzio la legge dello Stato in cui risiedono. Pertanto ai cittadini italiani residenti in Germania si applicherà la legge tedesca che, al contrario di quella italiana, richiede ai fini dell’ottenimento del divorzio, un anno di separazione di fatto dei coniugi. Ma nel contempo ai cittadini tedeschi residenti in Italia potrebbe, in assenza di accordo, applicarsi la legge italiana che prevede che debbano trascorrere tre anni dalla pronuncia giudiziale di separazione prima di poter richiedere il divorzio, con conseguente svantaggio rispetto alla propria legge nazionale.

Il Regolamento Europeo 1259/10 sancisce nello specifico che: “in assenza di accordo, troverà applicazione la legge dello Stato di residenza abituale dei coniugi nel momento in cui si decide di agire in giudizio”.

La sentenza così ottenuta sarà automaticamente riconosciuta in Italia, senza la necessità di alcuna procedura interna, e si potrà iscrivere nei registri dello stato civile, ma solo una volta che la stessa sia divenuta definitiva, ossia non più soggetta ad impugnazione nell’ordinamento di origine.

Differenza tra Separazione e Divorzio in Italia

Che differenze ci sono tra separazione e divorzio? I due termini sono spesso, erroneamente, utilizzati come sinonimi, ma si tratta di due cose ben distinte. Facciamo quindi un po’ di chiarezza.

La Separazione

Con il termine separazione legale, secondo quanto stabilito dalla legislazione italiana, si intende l’atto con cui vengono sospesi gli effetti del matrimonio. La separazione, però, non produce la cessazione del rapporto matrimoniale. La separazione può essere di tipo consensuale (chiesta di comune accordo tra i coniugi e omologata/convalidata dal Giudice) o di tipo giudiziale (quando i coniugi non sono d’accordo sulla richiesta o sulle modalità della separazione e pertanto viene pronunciata dal Giudice). Con la separazione, consensuale o giudiziale, risultano sospesi gli adempimento dei doveri tra i due coniugi, fatti salvi i doveri di rispetto e di assistenza reciproca. La sospensione degli adempimenti coniugali che si ottiene con la separazione è infatti collegata all’eventuale riconciliazione tra i coniugi.

Si parla inoltre di separazione di fatto nei casi in cui, senza l’intervento di un Giudice, uno dei due coniugi, in modo completamente unilaterale, di sua volontà o per accordo si sia allontanato dal tetto coniugale.

Il Divorzio

Con il termine divorzio, introdotto la prima volta nella legislazione italiana e disciplinato con legge n.898 del 1 dicembre 1970 e successivamente dalle modifiche apportate con la legge n.74 del 1987 e dall’art.149 del codice civile, viene legalmente pronunciato lo scioglimento del matrimonio (nel caso di matrimonio con rito civile) o la cessazione degli effetti civili (nel caso il matrimonio sia stato concordatario cioè celebrato con rito religioso cattolico o di altra religione riconosciuta dalla Stato Italiano). Per poter chiedere il divorzio devono sussistere le seguenti condizioni: 1) Sia venuta meno la comunione morale e spirituale tra marito e moglie (affectio coniugalis); 2) marito e moglie non condividono più la stessa casa coniugale; 3) La separazione legale sia stata pronunciata da almeno tre anni.

Differenze tra Separazione e Divorzio

Con il divorzio quindi, a differenza che con la separazione, gli effetti del matrimonio cessano definitivamente. Tra i coniugi cessano tutti i rapporti sia sul piano personale che sul piano patrimoniale.

Tabella Riassuntiva Differenze tra Divorzio e Separazione

La separazione Il divorzio
È temporanea. È definitivo.
Sospende gli effetti del matrimonio, ma si conserva lo stato di coniuge. Scioglie il matrimonio celebrato con rito civile o gli effetti civili del matrimonio religioso concordatario.

Non esiste più con il divorzio lo status di coniuge e ci si può risposare. La donna perde il cognome del marito.

Determina cambiamenti nella situazione personale e patrimoniale dei coniugi, quali ad esempio:

La sentenza di divorzio stabilirà le condizioni:

  • delle questioni patrimoniali
  • dell’assegnazione della casa di famiglia
  • dell’affidamento e del mantenimento dei figli

 

Il divorzio breve secondo la legislazione italiana

E’ stato convertito in legge il Decreto n. 132/2014 in materia di semplificazione del procedimento per la separazione e il divorzio.

Da oggi in poi sarà possibile divorziare senza il necessario intervento dell’organo giudiziale. Ci si potrà, infatti, separare, comparendo dinanzi al Sindaco o a mezzo di un accordo siglato da un Avvocato (negoziazione assistita), a patto che non ci siano dissidi tra marito e moglie, che siano trascorsi comunque i tre anni dal momento della separazione. I coniugi potranno, inoltre, comparire innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune per concludere un accordo di separazione o di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili o, infine, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. L’assistenza dei difensori non è obbligatoria. Tale modalità semplificata è a disposizione dei coniugi solo quando non vi sono figli minori o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti e a condizione che l’accordo non contenga atti con cui si dispone il trasferimento di diritti patrimoniali.

Con la nuova Riforma in sostanza sarà possibile divorziare davanti al Sindaco o con l’assistenza di un avvocato, senza l’intervento del organo giudiziale.

La negoziazione assistita a mezzo degli avvocati è possibile anche se vi sono figli minori o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti a condizione che l’accordo, in tali casi, venga verificato dal Pubblico Ministero, a cui si aggiunge un possibile passaggio davanti al Presidente del Tribunale. L’accordo così siglato sarà equiparato ai verbali di separazione omologati e costituirà titolo esecutivo a tutti gli effetti. La negoziazione assistita troverà il suo limite nel mancato raggiungimento dell’accordo tra i coniugi e, pertanto, in tali casi si continuerà ad applicare l’ordinario procedimento per il divorzio in sede giudiziale.

Non è dato ancora sapere se il nuovo istituto del divorzio breve produrrà l’effetto auspicato di limitare il fenomeno della tendenza dei coniugi italiani a ricorrere al forum shopping (ossia la scelta di una normativa nazionale più favorevole per il perseguimento dei propri interessi). Si consideri, infatti, che anche il nuovo istituto del divorzio breve non ha di fatto ridotto i tempi per giungere al divorzio che, per l’effetto, rimangono invariati: tre anni dalla separazione.

I coniugi italiani, come probabilmente anche altri, che intendessero eludere l’applicazione della rigida legge nazionale italiana utilizzano, di fatto, la normativa comunitaria per giungere all’applicazione di una legge nazionale di altro Stato per giungere, in tempi brevi, alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Per l’approfondimento di tale ultimo rilievo, si rinvia alla sezione “Divorzio Internazionale – Comunitario” che per facilitarne la ricerca viene di seguito esposto.

Il divorzio internazionale – comunitario.

I primi passi devono necessariamente essere mossi avendo come basilare riferimento normativo il regolamento (CE) n. 2201 del 27 novembre 2003 (c.d. regolamento “Bruxelles II bis”), che disciplina la competenza, il riconoscimento, l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale ed in materia di responsabilità genitoriale.

Punto di partenza della presente disamina non può non essere l’art. 3, par. 1, lett. a) del citato Regolamento Comunitario, il quale va ad elencare tutta una serie di criteri, tra loro alternativi, di competenza giurisdizionale tra i quali vi sono:

  • lo stato di residenza abituale dei coniugi, o
  • In caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei due coniugi o
  • la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda.

Dalla lettura dei criteri suddetti, risultano palesi le opportunità che si possono prospettare alle coppie italiane riguardo la possibilità di addivenire rapidamente ad un divorzio sfruttando, come già detto, il fenomeno del forum shopping, ossia una normativa nazionale più vantaggiosa per il perseguimento dei propri interessi.

Nel caso de quo, il vantaggio consisterebbe nella possibilità di stabilire una residenza in un paese la cui legislazione permetta in modo facile, veloce ed economico l’ottenimento di un provvedimento definitivo di divorzio, per poi provvedere all’aggiornamento delle iscrizioni dei registri dello stato civile, in virtù dell’automatico riconoscimento del provvedimento stesso, garantito dall’art. 21, par. 2, del regolamento “Bruxelles II bis”. Questo spiraglio, sfruttato da molti operatori del settore, permette di giungere alla sentenza di divorzio, semplicemente prendendo la residenza in uno stato ben individuato – molto spesso la Romania per questioni di rapidità ed economicità – grazie alla semplice stipulazione di un contratto di locazione per poi, dopo poco tempo, introdurre la domanda giudiziale. Il giudice investito della controversia non dovrà fare altro che applicare direttamente il diritto interno per giungere al provvedimento richiesto dalle parti.

Oggi ciò è reso ancora più facile dall’entrata in vigore del regolamento n. 1259/2010, relativo alla cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile a divorzi e separazioni (c.d. regolamento “Roma III”) applicabile dal 21 giugno 2012 in tutti i paesi aderenti, il quale sancisce l’applicazione del diritto del foro interno o per scelta oppure per l’operare del criterio di residenza abituale dei coniugi.

Grazie a tale ultimo Regolamento (1259/10) è divenuto, infatti, possibile per i cittadini europei vedere applicata alla propria separazione e al divorzio la legge dello Stato in cui risiedono. Pertanto ai cittadini italiani residenti in Germania si applicherà la legge tedesca che, al contrario di quella italiana, richiede ai fini dell’ottenimento del divorzio, un anno di separazione di fatto dei coniugi. Ma nel contempo ai cittadini tedeschi residenti in Italia potrebbe, in assenza di accordo, applicarsi la legge italiana che prevede che debbano trascorrere tre anni dalla pronuncia giudiziale di separazione prima di poter richiedere il divorzio, con conseguente svantaggio rispetto alla propria legge nazionale.

Il Regolamento Europeo 1259/10 sancisce nello specifico che: “in assenza di accordo, troverà applicazione la legge dello Stato di residenza abituale dei coniugi nel momento in cui si decide di agire in giudizio”.

La sentenza così ottenuta sarà automaticamente riconosciuta in Italia, senza la necessità di alcuna procedura interna, e si potrà iscrivere nei registri dello stato civile, ma solo una volta che la stessa sia divenuta definitiva, ossia non più soggetta ad impugnazione nell’ordinamento di origine.

Il regime patrimoniale dei coniugi in Italia

Il regime patrimoniale legale in Italia è quello della comunione legale dei beni. Tuttavia, il regime della comunione legale, per volontà concorde degli sposi, può essere opportunamente derogato al momento della celebrazione del matrimonio, con conseguente annotazione a margine dello stato civile che i coniugi hanno scelto il regime della separazione patrimoniale. Una scelta analoga può essere fatta anche successivamente alla celebrazione del matrimonio, con atto avente la forma di atto pubblico (redatto cioè dinanzi ad un notaio).

Fanno parte della comunione tutti quei beni che sono stati acquistati congiuntamente o separatamente dai coniugi dopo il matrimonio. Essi appartengono in parti uguali al marito ed alla moglie. Specificamente, ricadono in comunione: gli acquisti compiuti dai coniugi dopo il matrimonio; le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio; gli utili ed incrementi di azienda di proprietà di uno solo dei coniugi anteriormente al matrimonio, ma gestita da entrambi; i risparmi dei coniugi.
Mentre sono esclusi dalla comunione i seguenti beni: beni di cui il coniuge era titolare prima del matrimonio; beni acquistati da un coniuge per successione o donazione (salvo non sia espressamente dichiarato che sono attribuiti alla comunione); beni di uso strettamente personale; beni che servono all‘esercizio della professione; beni ottenuti a titolo di risarcimento danni; pensione per la perdita totale o parziale della capacità lavorativa; beni acquistati con il prezzo del trasferimento di altri beni personali o con il loro scambio, purchè espressamente dichiarato.
I coniugi in regime di comunione legale dei beni possono agire con poteri disgiunti per il compimento di atti di ordinaria amministrazione, per quelli di straordinaria amministrazione devono, invece, agire congiuntamente.

Il mantenimento dell‘ex coniuge in seguito a separazione

Al momento della separazione, qualora uno dei due coniugi non abbia adeguati redditi propri e la separazione non sia a lui addebitabile per colpa, il giudice può stabilire che l‘altro coniuge corrisponda un assegno di mantenimento. Valutate le circostanze caso per caso, l‘assegno deve garantire a chi lo riceve di godere dello stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio, sempre che il coniuge obbligato si trovi effettivamente nella condizione economica di poterlo versare. In caso di inadempimento, su richiesta del beneficiario, potrà essere disposto il sequestro di parte dei beni dell‘obbligato, oppure potrà essere ordinato a terzi (es. al datore di lavoro del coniuge obbligato) il versamento della somma dovuta. Il provvedimento con cui il Giudice dispone la corresponsione dell‘assegno di mantenimento può in ogni tempo essere modificato o revocato qualora vi siano giustificati motivi o intervengano fatti nuovi.

L‘affidamento dei figli

L‘affidamento dei figli, in caso di separazione, è oggi disciplinato dalle norme introdotte con la Legge n. 54/2006. Il principio fondamentale è che, in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Pertanto, in sede di separazione e salvo diverso accordo tra i coniugi, il giudice deve valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori (affidamento condiviso) oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati (affidamento esclusivo), sempre e comunque considerando l‘esclusivo interesse della prole. Il genitore non affidatario è tenuto a versare un assegno di mantenimento per la prole.

Il Divorzio in Germania

A norma dell’articolo 1564, paragrafo 1, primo periodo, del Bürgerliches Gesetzbuch (o BGB: codice civile tedesco) , il matrimonio può essere sciolto soltanto da una sentenza pronunciata in esito ad un procedimento giudiziale promosso da uno o da entrambi i coniugi. Il matrimonio può essere sciolto se è fallito. Il matrimonio è fallito se tra i coniugi non vi è più comunità di vita e se non si può prevedere che essi la ristabiliranno. Vi è presunzione assoluta che il matrimonio sia fallito se i coniugi vivono separati da un anno e chiedono entrambi il divorzio o comunque quando il coniuge che non ha preso l’iniziativa acconsente al divorzio. Dopo un periodo di separazione di tre anni vi è presunzione assoluta che il matrimonio sia fallito, senza che rilevi la posizione sostenuta dalle parti nel processo.

A norma dell’articolo 1567 BGB, perché si possa ritenere che i coniugi vivano separati occorre che essi non abitino nella stessa casa e che risulti chiaramente la volontà di almeno un coniuge di non ristabilire la convivenza a causa del rifiuto della comunità di vita coniugale. Queste circostanze devono eventualmente essere provate; i problemi si pongono principalmente per quanto riguarda l’ipotesi, esplicitamente ammessa dalla legge, dei coniugi che vivano separati in casa (articolo 1567 BGB).

Il diritto tedesco conosce quale unico motivo di divorzio il fallimento del matrimonio. Non esiste il divorzio per colpa di un coniuge.

Principali effetti prodotti dal divorzio nei rapporti patrimoniali e personali dei coniugi

Il coniuge divorziato conserva il cognome da sposato scelto dai coniugi al momento del matrimonio. Mediante dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile, il coniuge divorziato può riprendere il suo cognome di nascita o il cognome che aveva utilizzato fino all’assunzione del cognome da sposato, oppure può aggiungere il suo cognome di nascita al cognome da sposato facendolo apparire prima o dopo quest’ultimo (articolo 1355, paragrafo 5, BGB).

Se le condizioni per ottenere il divorzio erano soddisfatte e il defunto aveva chiesto il divorzio o vi aveva acconsentito, il diritto alla successione previsto dalla legge a favore del coniuge è escluso (articolo 1933 BGB). Una disposizione di ultima volontà a favore del coniuge è in questo caso inefficace, a meno che il testatore non l’abbia prevista anche per il caso di divorzio (articolo 2077 BGB).

Se i coniugi hanno scelto il regime patrimoniale della comunione degli acquisti (Zugewinngemeinschaft) , l’aumento di valore del patrimonio conseguito durante il matrimonio è diviso tra i coniugi al momento del divorzio. Un’eccezione è prevista per il caso in cui la divisione dell’aumento di valore risulti gravemente ingiusta; tale caso ricorre in particolare quando il coniuge che ha realizzato l’aumento di valore più modesto non ha adempiuto agli obblighi economici derivanti dal matrimonio, ove tale inadempimento sia colposo e si sia protratto per un periodo piuttosto lungo.

Se i coniugi hanno scelto il regime della comunione patrimoniale (Gütergemeinschaft) , essi dovranno dividere l’intero patrimonio. Non sono previste sanzioni contro il coniuge che ha causato il divorzio.

Ove i coniugi non riescano a trovare un accordo, la casa coniugale può essere assegnata ad uno di essi dal giudice.

In caso di divorzio, i diritti pensionistici acquisiti dai coniugi durante il matrimonio (per esempio, i diritti maturati nell’ambito dell’assicurazione sociale obbligatoria, i diritti pensionistici e i diritti a prestazioni derivanti da un fondo pensione aziendale o da contratti d’assicurazione privata) sono divisi mediante perequazione assistenziale.

Differenze principali dell’istituto del divorzio in italia e in Germania.

Come già visto, la disciplina italiana sul divorzio, richiede la preventiva dichiarazione giudiziale della separazione dei coniugi perchè possa, trascorsi tre anni, darsi seguito alla richiesta di divorzio, anche volendo tenere conto della nuova disciplina del divorzio breve, in quanto applicabile.

La disciplina tedesca, invece, consente attraverso il consenso di entrambi i coniugi, di presentare domanda di divorzio a distanza di un anno dalla cessata convivenza. Non è necessario nè previsto, a monte, un provvedimento giudiziale dichiarativo della separazione. In mancanza di consenso di uno dei coniugi, la domanda giudiziale di divorzio può essere presentata trascorsi tre anni dalla separazione di fatto.

Il regime patrimoniale dei coniugi in Germania

Il regime legale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, in mancanza di diversa scelta, è costituto dalla cosiddetta “Zugewinngemeinschaft”- comunione del plusvalore. Si tratta di un regime legale di separazione dei beni con la sola divisione dell‘incremento patrimoniale all‘atto di scioglimento del matrimonio, in cui ogni coniuge conserva la titolarità esclusiva dei beni acquisiti durante il matrimonio. Al momento dello scioglimento vi è una reciproca compensazione tra i guadagni e gli utili avuti dai coniugi in costanza di esso, ma colui che ha percepito un minor reddito ha diritto di ottenere dall‘altro (o dai suoi aventi causa) la metà della differenza. I coniugi hanno comunque facoltà, a mezzo atto notarile, di modificare il regime patrimoniale legale.

Il mantenimento e gli alimenti

Il sistema giuridico tedesco distingue fra il mantenimento di separazione (Trennungsunterhalt) e il mantenimento divorzile (nachehelicher Unterhalt). Il mantenimento di separazione è corrisposto nel periodo fra separazione e divorzio con lo scopo di dare la possibilità al coniuge di poter mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva durante il matrimonio. Il mantenimento divorzile, invece, è corrisposto dal momento in cui la sentenza di divorzio è passata in giudicato. Viene concesso a tempo determinato e in proporzione al reddito. Presupposti per il diritto al mantenimento sono che: il coniuge sia affidatario dei figli; che il coniuge sia inidoneo al lavoro per malattia o per anzianità; che il coniuge percepisca un reddito inferiore.

Gli alimenti a favore dei figli

Il foro competente e la disciplina applicabile si determinano esclusivamente secondo il criterio del luogo di residenza dei figli. L‘ammontare del mantenimento da corrispondere in favore dei figli è, in Germania, determinato dalla così detta “Düsseldorfer Tabelle”. Gli importi in Tabella variano con l‘età, con i bisogni della prole e con il reddito dei soggetti obbligati al mantenimento.

La potestà genitoriale

Il foro competente e la disciplina applicabile si determinano esclusivamente secondo il criterio di residenza dei figli. Se i figli risiedono in Germania si applicherà, pertanto, il diritto tedesco. La potestà sui figli minori è esercitata da entrambi i coniugi, anche dopo il divorzio.

Unioni civili / Eingetragene Lebenspartnerschaft

Il riconoscimento delle unioni civili in Germania e relativi effetti sulla successione.

L’istituto giuridico della convivenza registrata è stato introdotto in Germania il 16 febbraio 2001 con la legge “Gesetz über die Eingetragene Lebenspartnerschaft”, in vigore dal 1 agosto 2001.

Le unioni civili sono ammesse in Germania esclusivamente per coppie omosessuali (§ 1 Abs.1 LPartG). La legge sulla convivenza registrata non equipara a tutti gli effetti la convivenza al matrimonio pur applicando ai conviventi disposizioni analoghe a quelle contenute nel codice civile tedesco per la disciplina del matrimonio.

Due persone che intendano dare vita ad una convivenza registrata devono dichiarare reciprocamente, personalmente e in contemporanea,d’innanzi all’autorità competente di voler condurre una convivenza a vita. I conviventi possono scegliere un cognome comune.

I conviventi hanno obbligo di assistenza e sostegno reciproco che persiste anche dopo eventuale separazione. La legge assicura pieno riconoscimento alla coppia dal punto di vista contributivo ed assistenziale, ciascun convivente può beneficiare ed essere inserito nell’assicurazione sulla malattia del compagno e conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza (procedura agevolata per ottenere la naturalizzazione e diritto al ricongiungimento). L’istituto giuridico è diverso dal matrimonio in materia di filiazione e adozione. Ai conviventi non è riconosciuto il diritto di adozione congiunta ed inizialmente non permetteva l’adozione dei figli del convivente (tale possibilità è stata introdotta nel

2004). È stata introdotta però, una forma di potestà limitata tanto che i partner possono essere associati alle decisioni che riguardano la vita quotidiana del bambino e richiedere l’affidamento in caso di morte del genitore naturale. Al convivente superstite, inoltre, sono attribuiti gli stessi diritti successori che il matrimonio conferisce ai coniugi, inoltre la legge prevede pensione di reversibilità, permesso di immigrazione per il partner straniero, reversibilità dell’affitto e l’obbligo di soddisfare i debiti contratti dalla coppia.

Il 22 ottobre 2009, la Corte costituzionale federale ha stabilito l’estensione di tutti i diritti ed i doveri del matrimonio alle coppie dello stesso sesso registrate.

La situazione attuale in Italia. La coppia di fatto

L’Italia non ha attualmente una legislazione effettiva per le unioni civili. Si parla pertanto di “coppia di fatto” in quanto non riconosciuta giuridicamente. Ciò non significa, tuttavia, che una unione stabile, sia pure “di fatto”, non faccia sorgere in capo ai conviventi diritti e doveri. Il quadro è però frammentario, nel senso che i diritti e doveri non sono omogenei, non derivano da una normativa unitaria ed omogenea, come nel quadro del matrimonio, ma sono frammentari e soltanto quelli previsti da specifiche leggi. Una differenza fondamentale tra matrimonio e coppia di fatto riguarda l’eredità: se uno dei coniugi muore l’altro ne è erede per legge, mentre nel caso di coppia di fatto un convivente non è erede dell’altro, a meno che non lo sia per testamento del compagno/a defunto/a]. Tra i conviventi, infatti, non esiste alcun diritto legale alla successione. Naturalmente il compagno/a può essere nominato erede, come qualunque altra persona, per testamento. L’inconveniente di tale soluzione, però, è che per testamento si può disporre solo di una quota del proprio patrimonio, chiamata appunto “disponibile”. Se si hanno parenti stretti (come per esempio fratelli o figli), questi hanno diritti su gran parte del patrimonio, e potrebbero chiedere la “legittima”, cioè la parte che spetta loro del patrimonio del defunto a prescindere dalla sua volontà diversamente espressa, quindi una disposizione in favore del compagno/a verrebbe annullata o perlomeno ridotta di molto. Il testamento ha inoltre alcuni inconvenienti pratici: per esempio, deve essere redatto bene, cioè osservando le formalità, ma questo non comporta al convivente problemi maggiori di quelli che incontra qualunque altra persona che faccia testamento.

Procedure europee di recupero credito

La legislazione comunitaria offre al creditore la possibilità di eseguire all‘estero una decisione giudiziaria, un atto pubblico o una transazione attraverso due autonome e distinte procedure.

Nello specifico chi vanta un credito può, su richiesta, ottenere un titolo esecutivo europeo nello Stato membro in cui la pronuncia è stata resa oppure ottenere una dichiarazione di esecutività nello Stato membro in cui deve aver luogo l‘esecuzione, conformemente alla procedura d‘exequatur prevista dal regolamento CE n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l‘esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
Nello scegliere fra queste due modalità di esecuzione, il creditore deve considerare che il titolo esecutivo europeo consente un‘esecuzione rapida ed efficiente e risparmia ai giudici dello Stato membro dell‘esecuzione lunghe e costose formalità connesse alla dichiarazione di esecutività di cui alla procedura d‘exequatur del regolamento sopra citato. D‘altro canto il creditore deve tenere presente che il titolo esecutivo europeo può essere rilasciato solo per crediti non contestati e salva l‘osservanza di determinati requisiti.

Va, infine, osservato che dal 12 dicembre 2008 è possibile promuovere il procedimento uniforme di cui al regolamento CE n. 1896/2006, che istituisce un procedimento europeo d‘ingiunzione di pagamento. L‘ingiunzione di pagamento europea è automaticamente esecutiva e non richiede una dichiarazione di esecutività o un certificato di titolo esecutivo europeo. Sono, inoltre, automaticamente esecutive, senza la necessità di una dichiarazione di esecutività o di un certificato di titolo esecutivo europeo le decisioni rese nell‘ambito del procedimento europeo per le controversie di modesta entità, per crediti inferiori ad euro 2.000 (Regolamento CE n. 861/2007), che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità.

Il Titolo Esecutivo Europeo

Il Regolamento n. 805/2004, istitutivo del Titolo esecutivo europeo, cosiddetto “Tee”, per i crediti non contestati, è applicabile dal 21 Ottobre 2005. Il suddetto Regolamento prevede che dopo la qualificazione da parte del giudice del Paese di origine, non siano necessarie ulteriori procedure per l‘esecuzione della decisione giudiziaria nello Stato richiesto.

Il nuovo Titolo esecutivo europeo si applica alle decisioni giudiziarie rese, alle transazioni giudiziarie approvate o concluse e agli atti pubblici redatti o registrati dopo la sua entrata in vigore. La finalità del Tee è quella di consentire, mediante la definizione di “norme minime”, la libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia civile e commerciale.

Il campo di applicazione del Tee.

Come già accennato poc‘anzi l‘ambito di applicazione del Tee è la materia civile e commerciale, ed in particolare le decisioni e le transazioni giudiziarie, nonchè gli atti pubblici relativi a crediti non contestati. Il Regolamento si applica inoltre alle decisioni pronunciate in seguito ad impugnazioni di decisioni giudiziarie, transazioni giudiziarie e atti pubblici certificati come Tee, ovvero Titolo esecutivo europeo.

I requisiti necessari per la certificazione

Il Regolamento disciplina la procedura di certificazione del titolo esecutivo europeo ed in particolare quattro risultano essere i requisiti che il giudice dovrà ritenere soddisfatti, affinchè una decisione giudiziaria relativa ad un credito non contestato pronunciata in uno Stato membro, possa essere certificata come titolo esecutivo europeo:

1) la decisione deve essere esecutiva nello Stato membro in cui la decisione giudiziaria è stata resa;

2) la decisione non dovrà essere in conflitto con le disposizioni in materia di competenza giurisdizionale esclusiva o in materia assicurativa soggetta a regole di competenza speciale previste dal reg. n. 44/2001;

3) la decisione deve essere stata resa nell‘ambito di un procedimento giudiziario svoltosi conformemente alle norme previste dagli artt. 12-19, in materia di notificazione e diritto di difesa, disposizioni volte a tutelare un contradditorio informato;

4) in ordine ai contratti conclusi con i consumatori, la decisione giudiziaria deve essere pronunciata nello Stato membro del domicilio del debitore-consumatore.

Il certificato di titolo esecutivo europeo, in base al disposto dell‘art. 11 del Regolamento in esame, ha effetto soltanto nei limiti dell‘esecutività della decisione giudiziaria. Qualora poi, sia stata proposta impugnazione contro la decisione già certificata come Tee e la fase si sia conclusa con la pronuncia di una sentenza anch‘essa esecutiva, l‘art. 6, prevede il rilascio di un certificato sostitutivo. A proporre l‘impugnazione possono essere sia il debitore che il creditore.

In assenza di specifica contestazione, va osservato anche come, la certificazione quale titolo esecutivo di una decisione, avrà valore anche per quanto concerne le spese giudiziali, inclusi i tassi si interesse. E‘ inoltre prevista la possibilità di una certificazione parziale, ovvero limitata alle parti della decisione aventi efficacia esecutiva e suscettibili di essere ammesse quindi alla libera circolazione.

Il certificato di titolo esecutivo europeo, compilato nella lingua della decisione giudiziaria, viene redatto utilizzando il modello contenuto nell‘allegato I al Regolamento istitutivo.

In relazione poi alle modifiche che possono riguardare il titolo dichiarato esecutivo in un tempo successivo alla sua certificazione, l‘art. 6, statuisce che nel caso in cui una decisione giudiziaria certificata come Tee non sia più tale o la sua capacità sia stata sospesa o limitata, su istanza presentata al giudice d‘origine, viene rilasciato un certificato comprovante la non esecutività o la limitazione dell‘esecutività.

Il Tee può essere, altresì, rettificato o revocato, e su istanza presentata al giudice di origine può essere effettuata la rettifica qualora, a causa di un errore materiale, vi sia divergenza tra la decisione giudiziaria e il certificato; così come il Tee può essere revocato se risulta manifestamente concesso per errore, sulla base del raffronto con i requisiti statuiti dal Regolamento. Ed infine, l‘art. 10, statuisce che il rilascio di un certificato di Tee non è soggetto ad alcun mezzo di impugnazione.

Le norme minime procedurali: in particolare le modalità di notificazione

Le norme minime procedurali di cui al Regolamento in esame trattano in particolare del regime delle notificazioni e del contenuto della domanda giudiziale relativa al credito, al fine di consentire al debitore di esercitare il proprio diritto di difesa. La funzione di queste disposizioni è anche quella di garantire gli Stati membri che, il titolo esecutivo europeo, rispetta le garanzie fondamentali del debitore, considerato che il loro rispetto è condizione necessaria per la stessa certificazione.

La disciplina della notificazione con prova di ricevimento da parte del debitore è trattata all‘art. 13 che prevede diverse forme di notifica, ed in particolare:

1) la notificazione in mani proprie, attestata da una dichiarazione di ricevimento datata e sottoscritta dal debitore;

2) la notificazione in mani proprie attestata da un documento firmato dalla persona competente che ha provveduto alla notificazione, in cui si dichiara che il debitore ha ricevuto il documento o ha rifiutato di riceverlo senza alcuna giustificazione legale e con l‘indicazione della data della notificazione;

3) la notificazione a mezzo posta, attestata da una dichiarazione di ricevimento datata, sottoscritta e rinviata dal debitore;

4) la notificazione con mezzi elettronici (in particolare mediante telecopia o posta elettronica), attestata da una dichiarazione di ricevimento datata, sottoscritta e rinviata dal debitore.

La notifica al debitore può avere ad oggetto una domanda giudiziale o un atto equivalente. Inoltre qualsiasi citazione a comparire in udienza può essere notificata al debitore secondo le norme viste poc‘anzi ovvero oralmente in una precedente udienza avente ad oggetto lo stesso credito e iscritta nel processo verbale di detta udienza.

Oltre alle quattro forme di notificazione sopra menzionate, vi sono altre modalità di notificazione senza prova di ricevimento da parte del debitore (art. 14):

  • la notificazione all‘indirizzo del debitore, a mani proprie di un convivente o di un dipendente che lavori nell‘abitazione;
  • la notificazione nei locali commerciali, a mani di un dipendente (nel caso di lavoratori autonomi o di persona giuridica);
  • il deposito nella cassetta delle lettere del documento ovvero della comunicazione del deposito del medesimo presso un ufficio postale o un‘autorità pubblica competente.

Sempre l‘art. 14 comprende tra le possibili modalità di notificazione, la notificazione tramite mezzi elettronici, purchè attestata da conferma automatica della trasmissione, a condizione che il debitore abbia preventivamente accettato in modo esplicito questo metodo di notifica. La notificazione di cui agli artt. 13-14, può essere validamente effettuata ad un rappresentante del debitore (art. 15).
In ogni caso, a chiusura delle norme in tema di notificazione, il reg. n. 805/2004 esclude l‘utilizzo delle suddette forme di notifica nel caso in cui l‘indirizzo del debitore non sia conosciuto con certezza.
Venendo ora alle forme di garanzia (artt. 16-17), che devono essere contenute nell‘atto introduttivo del procedimento e che hanno per oggetto il credito nonchè gli adempimenti procedurali necessari per il debitore per contestare il credito, si richiede sia tutta una serie di indicazioni molto precise contenute nell‘atto introduttivo (10), che la necessità che il debitore sia posto in condizioni di conoscere termini e modalità della sua eventuale contestazione ed altresì informato delle conseguenze che gli potrebbero derivare nel caso di una mancata contestazione.

Il Regolamento n. 805/2004 consente ugualmente la certificazione della decisione finale sebbene le norme minime siano state di fatto inosservate (artt. 18-19), purchè la decisione stessa sia stata a propria volta notificata nel rispetto delle norme minime sulle notifiche, con facoltà per il debitore (che sul punto deve essere opportunamente informato) di proporre ricorso per un completo riesame, ed in mancanza di impugnazione specifica sui requisiti processuali.

Altrettanta efficacia sanante è attribuita al comportamento processuale del debitore non adeguatamente informato, avvertito, notificato, che abbia tuttavia evidenziato una ricezione del documento, personale e tempestiva, tale da non compromettere i suoi diritti di difesa.

Ulteriore requisito che è necessario verificare prima di procedere alla certificazione, è quello richiesto dall‘art. 19, il quale prevede che l‘ordinamento interno consenta al debitore di chiedere il riesame della decisione nei casi in cui, appunto non gli sia stata notificata in tempo utile ovvero egli non abbia avuto la possibilità di contestare il credito per situazioni di forza maggiore o altre circostanze eccezionali a lui non imputabili.

Il Regolamento prevede un‘unica modalità per il debitore, di rifiutare l‘exequatur (art. 21), e cioè il debitore può invocare nel processo di esecuzione l‘esistenza di un contrasto pratico di giudicati tra la decisione certificata da eseguire ed un‘altra anteriore che abbia lo stesso oggetto e sia intervenuta tra le stesse parti, e che soddisfi le condizioni necessarie per il suo riconoscimento nello Stato dell‘esecuzione e che non abbia formato oggetto di eccezione di giudicato nel procedimento che si è tenuto nello Stato d‘origine per causa non imputabile al debitore.

Il nuovo titolo di credito certificato e la sua inattaccabilità
Il nuovo Regolamento prevede la facoltà per il creditore di iniziare il processo esecutivo in tutti gli Stati membri, sulla base di un titolo esecutivo europeo, e cioè di un titolo di credito certificato come tale dalla preposta autorità nello Stato membro di origine del provvedimento, e non più, invece, dal giudice dello Stato membro dell‘esecuzione. La finalità è quella di fare in modo che la decisione giudiziaria, certificata come Tee, sia trattata come se fosse stata pronunciata nello Stato membro dove si chiede l’esecuzione.
La novità sostanziale del regolamento è quella che consente al giudice del Paese di origine, che ha adottato e certificato il provvedimento, di effettuare il controllo sulla presenza dei requisiti di esecutività.
Fuori dai casi di eventuale incompatibilità della decisione con un precedente giudicato, che è motivo di rifiuto dell‘esecuzione a determinate condizioni, o dei casi di contrasto della decisione con l‘ordine pubblico dello Stato membro dove la decisione deve essere eseguita, per il nuovo Regolamento non vi sono altri ostacoli all‘esecuzione. Pertanto questa voluta inattaccabilità del Tee, preclude la deducibilità in via incidentale, delle condizioni di riconoscimento e, a maggior ragione, il riesame del merito della decisione straniera, non rilevando in tal modo qualsiasi eventuale prospettazione relativa ad errori di fatto o di diritto compiuti dal giudice dello Stato di origine.

Il procedimento di esecuzione e i “rapporti” con la legislazione italiana

Il reg. n. 805/2004/Ce dispone che, una volta ottenuta la certificazione, il creditore possa avviare la procedura esecutiva secondo la disciplina vigente nei diversi Stati membri ove il titolo sarà messo in esecuzione. Sempre ai fini di un‘uniformità di trattamento a livello europeo l‘art. 20 statuisce che una decisione giudiziaria certificata come titolo esecutivo europeo è eseguita “alle stesse condizioni” di una decisione giudiziaria pronunciata nello Stato membro di esecuzione.

Acquisto di Immobile in Italia

In Italia la compravendita di immobili segue ormai una prassi contrattuale diffusa e consolidata che si sostanzia: nella stipula di un contratto preliminare, che ha effetti puramente obbligatori in quanto le parti si impegnano rispettivamente ad acquistare e a vendere, e nella redazione del contratto definitivo, nella forma dell´atto pubblico, che produce l´effetto reale e sostanziale del trasferimento della proprietà in capo all´acquirente.

Il contratto preliminare

È l´atto che precede il rogito meglio noto come “promessa di vendita”. Si tratta di un contratto di carattere privato non è infatti richiesto l´intervento di un notaio, attraverso il quale le parti regolamentano tutti gli aspetti che formeranno oggetto del successivo rogito notarile. Il preliminare nella pratica anticipa in tutto e per tutto gli effetti del rogito, come il pagamento del prezzo e l´immissione nel possesso. Per una maggiore tutela dell´acquirente si consiglia, comunque, di procedere sempre alla trascrizione nei registri immobiliari del contratto preliminare stipulato perché possa essere opponibile a terzi. Gli elementi fondamentali da indicare nel compromesso sono i seguenti. I dati completi dei contraenti; prezzo dell´immobile; le modalità di pagamento; i dati catastali; la descrizione dell´immobile e dei confini; la data pattuita per il rogito; l´indicazione di eventuali ipoteche o servitù che gravano sull´immobile; la garanzia che altri non vantino diritti sull´immobile; la garanzia da vizi; data, luogo e firma dei contraenti.

L´atto pubblico di compravendita

Il rogito notarile consiste nell´ atto conclusivo della trattativa di compravendita immobiliare. Rappresenta, infatti, il vero e proprio atto di vendita, ovvero, il momento attraverso il quale avviene il passaggio definitivo della proprietà dell´immobile dal venditore all´acquirente. È redatto, di solito, dal notaio nominato dal compratore e contiene tutti gli elementi necessari per individuare l´immobile oggetto di compravendita.
In caso di comproprietà, l´atto dovrà essere firmato da tutti i comproprietari, oppure, da un loro rappresentante al quale sia stata conferita una procura notarile. I controlli sull´esistenza d´ipoteche, pratiche di condono edilizio e verifiche del rispetto del piano regolatore, possono essere espressamente affidati al notaio. Il notaio, ad ogni modo, è tenuto: a registrare l´atto entro venti giorni e a versare le relative imposte per conto dell´acquirente. Inoltre, l´atto notarile dovrà essere trascritto nel più breve tempo possibile.
Il venditore per la redazione dell´atto notarile dovrà fornire la seguente documentazione: carta d´identità e codice fiscale delle parti; rogito relativo all´acquisto precedente; dichiarazione di successione nella quale sia compreso l´immobile da vendere; licenze e concessioni edilizie con le eventuali varianti; certificato di abitabilità/agibilità; domande di condono edilizio con i bollettini di versamento dell´oblazione; concessioni in sanatoria; planimetrie; certificati catastali.

L‘acquisto della Cittadinanza Tedesca

I coniugi italiani non acquistano automaticamente il diritto alla cittadinanza tedesca per il solo fatto di aver contratto matrimonio in Germania e/o per avervi stabilito la residenza. Quando, invece, il cittadino italiano contrae matrimonio con una cittadina tedesca è prevista la facoltà per il coniuge italiano di ottenere, come effetto del matrimonio e su espressa richiesta, la cittadinanza tedesca.

Stesso principio si applica nel caso inverso e, cioè, quando una cittadina tedesca contrae matrimonio con cittadino italiano e quando la stessa non risiede più in Germania. La cittadina tedesca, in tal caso, può richiedere la cittadinanza italiana.
Fino al 1983 l‘acquisto della cittadinanza italiana da parte della cittadina tedesca che contraeva matrimonio con un cittadino italiano avveniva in maniera automatica, senza necessità di preventiva richiesta. In tal caso, però, la cittadina tedesca conservava la propria cittadinanza originaria e aggiungeva a questa la cittadinanza italiana, acquisendo così la doppia cittadinanza.

Come ottenere la cittadinanza tedesca

La naturalizzazione di cittadino straniero, o meglio l‘acquisizione della cittadinanza tedesca, è permessa su richiesta se vengono soddisfatte le seguenti condizioni:
1) otto anni di regolare residenza in Germania (ridotti a tre anni, nel caso di cittadini stranieri sposati con coniugi tedeschi);
2) possesso di regolare permesso di residenza o di soggiorno (unbefristetes Aufenthaltsrecht o Aufenthaltserlaubnis) o del nuovo certificato di soggiorno (Bescheinigung über das Aufenthaltsrecht);
3) poter assicurare il mantenimento proprio e dei familiari a carico e non essere, tranne che per motivi non ascrivibili a proprie responsabilità, percettori di sussidi sociali (Sozialhilfe) o di disoccupazione Arbeitslosengeld;
4) avere conoscenza della Costituzione tedesca (alla quale si deve giurare fedeltà) e non svolgere attività contrarie ai principi costituzionali;
5) avere conoscenza dell‘ordinamento giuridico e sociale tedesco e delle condizioni di vita in Germania;
6) non aver riportato condanne penali;
7) avere una conoscenza sufficiente della lingua tedesca.

La legge prevede inoltre che la cittadinanza tedesca possa essere concessa ai familiari del cittadino italiano che acquista la cittadinanza tedesca, alle seguenti condizioni (oltre ovviamente a quelle di cui ai punti precedenti):
1. 1. al coniuge di un cittadino italiano che abbia già ottenuto la cittadinanza, in costanza di matrimonio da più di due anni e a condizione di risiedere nel Paese da almeno quattro anni;
2. 2. ai figli minori di etÅ inferiore ai 16 anni conviventi di un cittadino italiano che risiedano nel Paese da almeno tre anni.

Le condizioni richieste per l‘acquisto della cittadinanza tedesca, in dettaglio:

1.”otto anni di regolare residenza in Germania”

Per poter calcolare tale periodo bisogna prendere in considerazione l‘ultima data nella quale ci si è stabiliti in Germania. Molte famiglie hanno passato un periodo di tempo in Germania, poi sono tornate in Italia e poi sono ritornate in Germania. Attenzione: periodi prolungati oltre i sei mesi di residenza in Italia fanno scadere il permesso di soggiorno e quindi gli anni precedenti trascorsi in Germania non contano più. Anche i periodi per esempio di studio possono essere conteggiati, l‘importante è che gli otto anni di residenza in Germania, per come richiesti dalla legge tedesca, siano privi di interruzioni. Nel caso venga richiesta contemporaneamente la cittadinanza anche per i familiari, per questi il periodo di attesa può essere ridotto a quattro anni.

Chi È sposato con una tedesca o con un tedesco può richiedere la cittadinanza in base all‘articolo 9 del legge sulla cittadinanza “Staatsangehörigkeitsgesetz”: in questo caso si ha diritto alla naturalizzazione già dopo tre anni di residenza in Germania. È necessario però che la coppia sia sposata da almeno due anni e che il matrimonio sia ancora valido.

2.”possesso di un regolare permesso di soggiorno”
I cittadini dell‘Unione Europea hanno diritto al permesso di soggiorno “Bescheinigung über das Aufenthaltsrecht”. Vale la pena ricordare che i connazionali hanno diritto al permesso di soggiorno a tempo indeterminato “unbefristete Aufenthaltserlaubnis”. Di fatto chi non ha presentato apposita richiesta o coloro che, in sede di rinnovo, non hanno ottenuto il permesso a tempo indeterminato rischiano di essere espulsi dalla Germania, anche se di fatto cittadini comunitari, se non dimostrano di avere ancora un introito adeguato a sostenere se stessi e la famiglia.

3.”poter assicurare il mantenimento proprio e dei familiari”
Non basta dimostrare di avere un reddito (stipendio, pensione, rendite), ma bisogna anche dimostrare che questo sia sufficiente ad assicurare il mantenimento proprio e dei familiari a carico. La percezione di sussidi sociali (Sozialhilfe) o di disoccupazione (Arbeitslosengeld) non impedisce l‘ottenimento della cittadinanza tedesca, quando tale stato non è dovuto a proprie responsabilità.

4.”giurare il rispetto della Costituzione tedesca e non svolgere attività in contrasto con i principi costituzionali”
Nella formulazione in tedesco si parla di “freiheitlich demokratische Grundordnung”, un concetto complesso, ma che si traduce nel rispetto: della Costituzione; della struttura democratica, politica e sociale dello Stato tedesco.

5.”avere conoscenza dell‘ordinamento giuridico e sociale tedesco e delle condizioni di vita in Germania”
A decorrere dal 1 settembre 2008 è previsto il superamento di un test (Einbürgerungstest) composto da semplici domande relative all‘ordinamento giuridico tedesco. Nello specifico: sui valori democratici, sui principi dello stato di diritto, dell‘uguaglianza, della tolleranza e della libertà religiosa; sulla storia e la cultura tedesca. L‘obbligo del test è escluso per coloro che hanno conseguito un‘adeguata formazione in una scuola tedesca.

6.”non aver riportato condanne penali”
Sono da dichiarare anche eventuali reati contestati all‘estero, anche se ancora in corso. Non tutte le eventuali condanne sono ostative all‘acquisizione della cittadinanza. Non vengono per esempio considerate le condanne pecuniarie che convertiti non superano i novanta giorni di detenzione (Tagessätzen). e pene detentive inferiori ai tre mesi con concessione della condizionale. Ma altre e diverse sono le eccezioni.

7.”conoscenza della lingua tedesca”

Le competenze linguistiche possono venire certificate, alternativamente, attraverso:

  • un attestato del “Bundesamt für Migration und Flüchtlinge” che certifichi la partecipazione con successo ad un corso di lingua tedesca;
  • un certificato linguistico di specifico livello;
  • la frequenza con successo, per la durata di quattro anni, di una scuola con lingua di insegnamento tedesca,
  • il conseguimento di un diploma presso una scuola con lingua di insegnamento tedesca, ecc.

La forma della domanda

E‘ necessario presentare istanza presso il Comune di residenza allegando la seguente documentazione, in originale:

  • Il passaporto o la carta d‘identità ed il permesso di soggiorno;
  • Una foto formato tessera;
  • Il certificato di nascita – su modello internazionale o allegando all‘originale una traduzione autenticata, se si è nati fuori della Germania;
  • Eventuale certificato di matrimonio – nel caso il matrimonio sia stato celebrato fuori della Germania bisogna utilizzare un modello internazionale o allegare una traduzione autenticata. Eventuali sentenza di divorzio opportunamente tradotta;
  • Dichiarazione dei redditi o busta baga (Einkommensnachweise);
  • Un certificato che attesti le competenze linguistiche
  • Un curriculum vitae scritto a mano e firmato.

L‘iter burocratico per l‘acquisizione della cittadinanza tedesca può durare da sei a nove mesi a far data dalla presentazione della domanda.